Legame molecolare e sinaptico fra malattie nervose e mentali
GIOVANNA REZZONI
NOTE
E NOTIZIE - Anno XV – 27 gennaio 2018.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di
studio dei soci componenti lo staff
dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Verso la fine del XX secolo,
la separazione fra neurologia e psichiatria era considerata come la naturale
conseguenza di un importante progresso di dimensione epocale, consistente nella
distinzione fra le malattie del sistema nervoso, considerate “organiche”, e i
disturbi psichici, ritenuti in gran parte conseguenza di processi causati da
reazioni ad esperienze vissute o da una conflittualità inconscia in grado di
determinare un disadattamento espresso dai sintomi[1].
La distinzione fra gli oggetti
di studio, divenuta separazione delle discipline professionali, veniva difesa
con vigore, soprattutto da molti psichiatri, in quanto considerata espressione di
un’importante punto di arrivo del sapere medico, che allontanava
definitivamente la clinica psichiatrica da quell’organicismo storicamente
accostato a trattamenti disumani, oltre che antiscientifici, dei disturbi
mentali, quali il coma insulinico e l’elettroshock. La psicoanalisi, la
fenomenologia, l’approccio relazionale e cognitivo, con metodi fra loro diversi
e talora opposti, condividono il merito di aver promosso lo sviluppo di un
nuovo rapporto medico-paziente, fondato sul prendersi cura di una persona, e
non ristretto al diagnosticare e trattare una patologia. Nacquero numerose
scuole di psicoterapia che, pur con differenze teoriche e tecniche,
condividevano un approccio concepito come studio di una personalità nel suo
disagio e nella sua sofferenza, al fine di comprendere ed offrire sostegno in
un percorso di cambiamento.
Prima di quell’epoca, e in
parte anche durante quel periodo, gli psicotici cronici non appartenenti a
classi privilegiate o a famiglie facoltose, erano invariabilmente “reclusi” nei
manicomi, istituzioni che esprimevano
la rinuncia della medicina a riconoscere come pazienti le persone affette dalle
forme più gravi e intrattabili di disturbi mentali, e il bisogno della società
di proteggersi da individui ritenuti potenzialmente pericolosi.
Sgombrato da decenni il campo
dal rischio di derive manicomiali, associate più o meno ingiustamente a una
visione neurologica della psicopatologia, i progressi delle neuroscienze
evidenziano oggi la necessità che la distinzione
fra neurologia e psichiatria sia sempre più specializzazione
e sempre meno separazione. La
crescente acquisizione di dati e nozioni sulle basi biologiche e patologiche
delle malattie umane rende sempre più evidente l’esigenza che lo psichiatra
abbia una solida formazione medica e una profonda cultura neuroscientifica.
Un numero crescente di studi,
non solo nel campo della neurogenetica, propone l’individuazione di elementi di
rilievo neurobiologico alla base di processi fisiologici e fisiopatologici che
riguardano funzioni e disturbi di interesse sia neurologico che psichiatrico,
espandendo notevolmente l’area di sovrapposizione costituita dalle demenze e
dalla patologia psichiatrica associata a danno neurologico.
Alexandrov dell’Accademia
delle Scienze Mediche di Russia, con colleghi americani e cinesi, ha realizzato
uno studio di valutazione “prospettica” della ricerca su Shank3, individuando
nel deficit di espressione di questa proteina un elemento comune a disturbi
neurologici e psichiatrici, anche molto diversi fra loro e nosograficamente
distanti.
(Alexandrov P. N., et al., Deficits
in the Proline-Rich Synapse-Associated Shank3 Protein in Multiple
Neuropsychiatric Disorders. Frontiers in Neurology
– 8: 670 - Epub ahead of print doi: 10.3389/fneur.2017.00670. eCollection, Dec.
2017).
La provenienza degli autori
è la seguente: Russian Academy of Medical Sciences, Moscow (Russia); LSU
Neuroscience Center, Department of Neurology, Department of Ophthalmology,
Department of Anatomy and Cell Biology, Louisiana State University Health
Sciences Center, New Orleans, LA (USA); Department of Neurology, Shengjing
Hospital, China Medical University, Shenyang (Cina).
L’organizzazione funzionale
del sistema nervoso centrale dei mammiferi, che ha nell’uomo la sua espressione
più evoluta, si basa su complesse reti di neuroni ed elementi gliali
interconnesse per la trasmissione di informazioni su base neurochimica e
bioelettrica. Per caratteristiche peculiari e differenze paradigmatiche, si opera
la distinzione fra compartimento presinaptico e post-sinaptico. Recentemente, è
stato caratterizzato quale elemento essenziale per l’efficiente funzionamento
delle reti neuroniche un importante costituente post-sinaptico: la proteina del
citoscheletro associata alla sinapsi, relativamente abbondante, ricca di
prolina, di ~ 184.7 kDa, codificata nell’uomo sul cromosoma 22q13.33 e
denominata Shank3, da SH3-ankyrin repeat domain.
Gli autori dello studio non si
sono limitati a fare una rassegna e un commento dei progressi della ricerca su
questa molecola, ma hanno anche incluso dati originali che mostrano difetti
comuni di Shank3 in vari disturbi neurologici e psichiatrici apparentemente non
connessi fra loro in termini di eziologia e patogenesi: malattia di Alzheimer
(AD) nelle forme sporadiche; disturbo bipolare (BD); disturbi dello spettro
dell’autismo (ASD); sindrome di Phelan-McDermid (PMS; identificata anche quale
sindrome da delezione di 22q13.3)[2];
schizofrenia (o disturbi psicotici con profilo sintomatologico schizofrenico).
Alcuni studi hanno rivelato
che Shank3 è ipoespressa (downregulated)
nel sistema nervoso centrale dei ceppi di topi transgenici impiegati quali
modelli sperimentali della malattia di Alzheimer familiare, AD (TgAD) 5x,
ingegnerizzati per esprimere in eccesso il peptide beta-amiloide tossico di 42
aminoacidi (Aβ42). Un altro esito particolarmente interessante delle
ricerche recenti è quello relativo ad esperimenti compiuti con “agenti
stressanti” pro-infiammatori, come la neurotossina metallica solfato di alluminio
[Al2(SO4)3] e lo stesso peptide amiloide
Aβ42. L’applicazione di questi agenti alle cellule nervose e gliali umane,
in colture primarie, determinava una significativa riduzione dell’espressione
di Shank3.
Sulla base di queste evidenze
ed altri dati, per i quali si rimanda al testo dell’articolo recensito,
Alexandrov e colleghi deducono che il deficit di espressione di Shank3 potrebbe
essere il comune denominatore di un ampio spettro di disturbi del sistema
nervoso centrale umano, che presentano una disorganizzazione
sinaptica evolutiva o progressiva,
cronologicamente associata a iposviluppo intellettivo o declino cognitivo.
La comprensione di questo
possibile ruolo di Shank3 può considerarsi come un’altra via tracciata da
percorrere, al termine della quale si spera vi siano nuove soluzioni per
aiutare chi soffre.
L’autrice della nota ringrazia la
dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di
argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito
(utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
La Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] Tutta la psicopatologia era riportata a due ordini di processi: reazioni maggiori, in gran parte identificate con le psicosi (schizofrenica, paranoica, maniaco-depressiva, maniacale o depressiva monopolare, ecc.) e reazioni minori, sostanzialmente corrispondenti alle nevrosi o psiconévrosi emozionali (isterica, ossessivo-compulsiva, fobica, d’angoscia, ecc.).
[2] La delezione comporta la perdita di un allele del gene SHANK3, che codifica la proteina shank3 espressa in cervello, cuore, rene ed altri organi, ma soprattutto importante per lo sviluppo cerebrale e per la neurofisiologia dei processi cognitivi. I bambini colpiti presentano, intorno ai 2-3 anni, ritardo dello sviluppo motorio e intellettivo con difetti o regressione nelle abilità comunicative, possono presentare comportamenti autistici (tendenza all’isolamento), talvolta iperattivi con disturbi del sonno e problemi di attaccamento emotivo; raramente presentano crisi epilettiche. La Phelan-McDermid è nella maggior parte dei casi sporadica, per una delezione insorta spontaneamente nel piccolo paziente, in alcuni casi il difetto è invece presente in una parte di cellule (mosaicismo) di uno dei genitori, che non è affetto ma può trasmetterla. In Italia i casi diagnosticati non sono molti (solo 50 casi fino al 2012).